La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 15 settembre 2021, n. 24937, ha affermato che, in tema di comunione, mediante l’utilizzazione del bene comune da parte di un comproprietario non deve essere alterata la destinazione del bene stesso e non deve essere compromesso il diritto al pari uso da parte degli altri comproprietari.

Nel caso di specie, la società nuova proprietaria, autorizzata dal Comune, aveva trasformato dei locali condominiali di sua proprietà in un’autorimessa e le preesistenti vetrate erano state trasformate in accessi ai box dalla strada eliminando, così, sei posti auto. L’amministratore del condominio e una singola condomina chiedevano, quindi, la rimessione in pristino del precedente stato dei luoghi.

I giudici di legittimità, confermando il giudizio della Corte di Appello, hanno spiegato che in casi come questi vi è una limitazione effettiva e concreta dei diritti degli altri comproprietari della strada, impedendo loro il pari uso del relativo diritto, in violazione dell’art. 1102 del Codice civile.

Il principio generale è quello per cui ciascun condomino può utilizzare la cosa comune, purché non impedisca agli altri di fare un pari uso. Dall’applicazione di questo principio deriva che anche l’assoggettamento di una strada privata a servitù di uso pubblico non implica la facoltà dei proprietari frontisti di aprire accessi diretti dai loro fondi su detta strada, comportando ciò un’utilizzazione di essa più intensa e diversa, non riconducibile al contenuto dell’indicata servitù. 

La Suprema Corte, quindi, ha puntualizzato che “l’uso del singolo comproprietario può ritenersi consentito solo ove l’utilità aggiuntiva non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso non dia luogo a servitù a carico del suddetto bene comune”.