È meritevole di accoglimento la richiesta risarcitoria azionata giudizialmente dal proprietario di un immobile sito in un condominio nel caso in cui il vicino del piano superiore causi danni alla proprietà sottostante per infiltrazioni di acqua, le quali arrechino deterioramenti al soffitto e all’impianto elettrico dell’abitazione.

Questo è quanto stabilito dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21977 del 12  luglio 2022, la quale ha cassato la decisione della Corte d’Appello di Milano, che confermava la sentenza di primo grado: infatti, nei primi due gradi di giudizio, la domanda risarcitoria era stata rigettata, in quanto il convenuto non poteva essere chiamato a rispondere dei danni ex art. 2051 c.c., perché nel caso di specie non ricorreva un’ipotesi di danni arrecati “dalla cosa”, ma di danni arrecati dal fatto dell’uomo.

Tuttavia, l’art. 2051 c.c. recita che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”: la Suprema Corte, nel caso di specie, ha ribadito che il proprietario di un appartamento risponde – proprio ai sensi dell’art. 2051 c.c. – dei danni causati dalla rottura di una tubazione, anche se causata dall’appaltatore a cui sono stati affidati i lavori di restauro.

Per consolidato orientamento della Corte, infatti, il citato articolo trova applicazione “sia quando il danno sia stato arrecato dalla cosa in virtù del suo intrinseco dinamismo, sia quando sia stato arrecato dalla cosa in conseguenza dell’agente dannoso in essa fatto insorgere dalla condotta umana” (il principio è immutato da anni: si veda Cass. civ. 987/1972, 2331/2001, 4480/2001 e 10649/2004); di conseguenza, “è irrilevante, al fine di escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c., che il processo dannoso sia stato provocato da elementi esterni, quando la cosa sia obbiettivamente suscettibile di produrre danni”.

Sul custode grava in ogni momento l’onere di vigilanza, affinché la cosa non causi danni a terzi e, quindi, sussiste l’onere di risarcire gli stessi in caso di sinistro: il Collegio ha rilevato, in punto di fatto, che tanto una tubazione idrica, quanto l’acqua in essa contenuta, sono “cose” per i fini di cui all’art. 2051 c.c. e non rileva se queste abbiano arrecato un danno perché guaste per vetustà o guastate dall’uomo.

Va precisato, peraltro, che il convenuto in giudizio, oltre al rigetto della domanda risarcitoria attorea, aveva chiesto al Giudice di poter chiamare in causa i tre appaltatori cui aveva affidato l’esecuzione dei lavori nel suo appartamento al momento del verificarsi delle infiltrazioni. La Corte d’appello, sul punto, aveva stabilito che il proprietario dell’appartamento non potesse essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c. (responsabilità del committente) in quanto l’appaltatore opera in autonomia, assumendosi i rischi (salvo la culpa in eligendo o in vigilando).

La Corte di Cassazione, tuttavia, non è stata dello stesso avviso, in quanto nella giurisprudenza di legittimità è pacifico che “salva l’ipotesi in cui l’appalto comporti il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguito il lavoro appaltato, non viene meno per il committente detentore dell’immobile stesso il dovere di custodia e di vigilanza”.

commento a cura della dott.ssa Sofia Tomasi